Quante volte nella nostra giornata ci sentiamo rivolgere questa richiesta: «Ascolta! Ti chiedo solo di ascoltarmi!»? Quante volte queste parole risuonano come un grido, una richiesta sofferta.
…ma quante altre volte la sofferenza e la paura non permettono né un grido, né un respiro, né una parola?
Ascoltare può apparire facile, quasi banale, eppure il vero ascolto dell’altro è raro e difficile. Immersi come siamo dal mattino alla sera nel frastuono della quotidianità, sollecitati da messaggi multiformi, ignoriamo il bisogno di ascolto dell’altro, ignoriamo la sofferenza e la richiesta di aiuto che si manifesta spesso in altri modi, con altri linguaggi.
Ci dimentichiamo che l’ascolto è la prima forma di rispetto e di attenzione verso l’altro, la prima modalità di accoglienza della sua presenza. Ascoltare significa essere attenti, accogliere le parole di chi ci sta di fronte, nel tentativo di cogliere quello che ci vuole comunicare. Solo un ascolto autentico fa esistere l’altro! Solo se si fa spazio dentro di sé, si da all’altro la possibilità di consegnare un peso grande, si dà all’altro la possibilità di iniziare un percorso che guarisce e ridona vita.
Non è solo una questione di ascolto, è anche una questione di sguardi e di cura di tutta la persona nella sua interezza; cura intesa come premura per l’altro, come sollecitudine a favore e volta a favorire il benessere dell’altro, condizione indispensabile per una vita buona. Senza uno sguardo attento e profondo sull’altro, non vi è mai possibilità di cura. Il prendersi cura è sempre una risposta, e in ultima analisi una responsabilità, risposta al bisogno dell’altro, a quell’altro che ho imparato a guardare in maniera profonda con attenzione. L’altro mi provoca, mi tiene sveglio, mi tiene vivo, mi chiama ad una responsabilità, mi muove all’azione, ha lasciato una ferita del mio essere profondo e chiede una guarigione.
Il nascondersi, Il silenzio e il ritardo nella condivisione del problema sono segni di una ferita emozionale che altera profondamente il senso dell’esistenza, altera la percezione di sé e degli altri. Non si può negare che spesso Il silenzio o la negazione del problema è frutto della poca fiducia verso sé stessi, verso gli altri e verso le Istituzioni. Le vittime convivono con un segreto che sentono di non poter comunicare a nessuno. Le motivazioni che spiegano il silenzio prolungato e del ritardo nella rivelazione, sono diversi e tra loro interconnessi. La percezione soggettiva tipica dei bambini di sentirsi in qualche modo responsabili dell’abuso subito dai grandi, il supporto carente fornito dagli adulti significativi, la vergogna e la paura della ritorsione. Il segreto appare loro come l’unica via d’uscita. Si sentono sicure nel loro silenzio.
Le vittime non sono colpevoli del loro silenzio, sono vittime per la seconda volta del loro silenzio. Esse hanno bisogno di essere ascoltate, prese sul serio e credute. Le vittime che hanno la possibilità̀ di raccontare e condividere la propria storia hanno già intrapreso la strada della guarigione.
La narrazione delle esperienze autobiografiche rappresenta una conquista importante, non è solo uno strumento di conoscenza e di costruzione del Sé, ma anche un percorso attraverso cui riflettere, organizzare e riorganizzare in modo coerente gli eventi della propria esistenza.
Con il Centro di ascolto, che esprime l’attenzione e la cura, mettiamo le persone al primo posto. Lo facciamo incontrandole, ascoltandole, dando loro credito, mettendoci a loro disposizione, condividendone il dolore. Negare alla persona la possibilità̀ di essere ascoltata e creduta è colludere con la violenza subita morale o fisica che sia.
Nadia Battajon, responsabile del Centro di ascolto